Pre(x)arieta, l’ambigua forma grafica su cui abbiamo giocato, richiama l’etimo della parola precarietà, che è correlata dalla matrice prex (dal lat. prex, precis): pregare come implorare, supplicare. Ciò che è precario è caratterizzato dalla provvisorietà, instabilità, insicurezza di una condizione che è concessa dietro supplica senza garanzia o diritto di permanenza.
Ora, come attestano i dizionari, precario – e di conseguenza precariato e tutte le parole simili – può riferirsi anche al latino praeclarus "molto famoso" o anche "illustre per le sue doti, per la sua fama" e simili, ma nel segno della vanitas vanitatum, facendone slittare così il significato nel senso moderno della "provvisorietà" e dell’"instabilità" secondo i rovesci della fortuna. E il festival, paradossalmente, non è che il rispecchiamento di una simile condizione.
La precarietà, in quanto forma dell'impermanenza, è la cifra della vita. Ogni situazione di stabilità interiore ed esteriore è sottoposta a dinamiche e forze che ne destabilizzano continuamente la consistenza, impedendone una chiara proiezione nel futuro.
Pensare l’esistenza sotto la cifra della precarietà significa, allora, prendere coscienza della sua vulnerabilità e, nel contempo, della necessaria relazione con l’alterità, dentro quella rete di reciproco scambio donativo che costituisce la società, senza la quale la precarietà può essere subordinata a costituire forme di disuguaglianze, di dipendenze economiche e sociali.
Oggi parola di grande attualità (e moda), è quasi esclusivamente riferita al mercato del lavoro, definendo uno status di particolare debolezza all'interno della categoria del lavoro subordinato, che però si avvale delle regola del mercato del lavoro autonomo, secondo l’attuale retorica del capitale umano.
Eppure, proprio la dimensione economica oggi ne assorbe il significato sotto molteplici aspetti per una vita che si trova ad essere resa, con tutte le sue facoltà (cognitive, immaginative e relazionali) e le sue dimensioni temporali, a un integrale assorbimento, a una totale disponibilità nella contingenza delle opportunità predisposte.
Il Festival tenta di tratteggiare quanto oggi la precarietà innervi l’esistenza dei singoli e delle comunità nella variegata gamma dei sentimenti, delle relazioni dei processi di ricerca di identità, aperte alla molteplicità delle forme di vita in cui emergono i conflitti, le derive, i fallimenti, ma anche le speranze e le nuove visioni di vita.
Fare emergere, se possibile, come la consapevolezza della condizione precaria (o della propria condizione precaria) vada ricercata in una dimensione più ampia dell’ambito lavorativo che coinvolge e mette in discussione la vita (la propria vita!). Significa, però, rendersi conto anche del sistema biopolitico nel quale si è immersi e delle implicite complicità dei soggetti con le varie forme di potere che la stessa precarietà alimenta.