domenica 10 settembre, ore 20.30
Matera, Museo archeologico nazionale Domenico Ridola
Bassam Abou Diab (Libano)
— Under the Flesh
Hamdi Dridi (Tunisia)
— Tu Meur(S) De Terre
Mounir Saeed / Cramp Group (Egitto)
— What about Dante
Sharaf Dar Zaid (Palestina)
— To Be...
La nouvelle vague della danza contemporanea araba, dominata da uomini under trenta, sbarca in Italia. L’inedito focus Young Arab Choreographers per quattro mesi attraversa le nostre regioni con l’intento di facilitare la mobilità, il dialogo interculturale e lo scambio di pratiche performative realizzando momenti d’incontro, sessioni di lavoro e serate di spettacolo. L’iniziativa è sostenuta dal ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, attraverso la fitta ragnatela di un nuovo network di undici associazioni e festival.
Si è partiti il 25 maggio da Torino con Interplay. Chiusura il 23 settembre a Roma. Ma prima, il dieci, l’appuntamento è a Matera con il Città delle 100 scale. Sei i coreografi provenienti dai Paesi del bacino del Mediterraneo: il palestinese Sharaf Dar Zaid, l’egiziano Mounir Saeed, il tunisino Hamdi Dridi e i libanesi Bassam Abou Diab, Guy Nader e Jadd Tank. I primi quattro presenti in Basilicata. Ai giovani artisti, selezionati all’interno del Beirut international platform of dance e in collaborazione con la Maqamat dance theatre di Beirut, il Mibact e il Maeci, è offerta una tournèe e la possibilità di sperimentare i propri spettacoli, di condividerne le poetiche e gli strumenti di lavoro, di approfondire all’interno di residenze artistiche la propria ricerca, incontrando pubblici, spazi e contesti molto diversi tra di loro. Una mappa e una disseminazione di performance e masterclass che nel loro insieme disegnano un concreto intervento di sostegno alla danza contemporanea araba e una straordinaria opportunità di conoscenza per gli artisti e per i pubblici italiani. Le strutture che hanno aderito all’accordo, ritrovandosi a condividerne l’ideazione e la progettazione, sono da anni impegnate nel dare pensiero oltre che visibilità alle molteplici pratiche e poetiche della danza contemporanea trasmettendo al pubblico italiano il messaggio che gli arabi non sono terroristi. Questi coreografi rappresentano una generazione più fortunata della precedente perché hanno voglia e possibilità di uscire dai loro Paesi per riportare, poi, in patria quello che imparano all’estero. Non è certo un caso che siano tutti uomini. Nel mondo arabo, tranne che in Tunisia, prevale la coreografia maschile. È un fatto generazionale. Una ventina d’anni fa erano soprattutto donne con formazione di danza classica appresa da insegnanti ex sovietici. In quella contemporanea che si è sviluppata in seguito si sono fatti avanti gli uomini che provengono dall’hip hop. I ventenni di oggi non godono di sovvenzioni pubbliche e, per la maggior parte, si mantengono grazie all’insegnamento. Con le strutture governative, infatti, non hanno quasi mai dialogo perché sono artisti indipendenti. Così i giovani autori, per fare di necessità virtù, puntano sul format del solo coreografico, di cui sono anche interpreti. Le ragioni sono due: da una parte c’è la volontà di lavorare su se stessi per individuare un proprio stile creativo preciso, dall’altra l’impossibilità di pagare danzatori di qualità per presentare all’estero le proprie coreografie. Da ciò sgorgano questi assoli intimisti. Racconti autobiografici, impastati di emozioni.