mercoledì 29 novembre 2017, ore 20:30
Potenza, Teatro Francesco Stabile
di: Saverio La Ruina
con: Saverio La Ruina
musiche originali: GianfrancoDe Franco
collaborazione allaregia: Cecilia Foti
scene: Cristina Ipsaro, Riccardo De Leo
disegno, luci: Dario De Luca, Mario Giordano
audio, luci: Mario Giordano
produzione: Scena Verticale
Coraggioso. Ironico. Commovente. Intimo. In un monologo il dramma di chi ha vissuto la vita nascondendosi. Di amori clandestini, soffocando istinti e pulsioni per non far parlare la gente. Dopo una vita di verità ferite, di complicità mai trovate, di violenze subìte, di senso di diversità e d’inadeguatezza mai colmati, l’uomo, ormai maturo, riesce a parlare della sua diversità alla madre, al suo tumulo. Senza giudizi, senza animosità, senza retorica. Si presenta con una rosa rossa in mano. All’inizio è quasi allegro per quella visita doverosa, poi man mano più serio e pensoso, mentre punta dritto all’argomento che ha deciso di affrontare su quella tomba, la propria omosessualità, nu masculu ch’i piacciono i masculi. Un argomento, questo, di cui in realtà con la mamma non ha parlato mai quando era viva. Trova il coraggio solo nel momento in cui lei non c’è più fisicamente, sempre pronta comunque ad accettarlo e proteggerlo. Con pacatezza l’uomo in un flusso sincopato, aspro e dolce ripercorre la sua vita, segnata da dolori e solitudine, immagine di quanta sofferenza possano portare pregiudizio, conformismo, ignoranza, ma col valore aggiunto di un indomabile coraggio di sapere sperare in una società più gentile. La vigorosa costruzione linguistica è fabbricata su quel dialetto aspro, ma capace di una musicalità quasi ipnotica. La trama serve a far da spunto per la superba prova recitativa di La Ruina. Che incarna Peppì, il protagonista che racconta di quando bambino gli piaceva guardare le gambe dei compagni a scuola e i ragazzini al mare del Lidu Aragosta, le prime disillusioni con Gianni, il ragazzo che gridava viva Marx ma che sparisce quando scopre la sua omosessualità. I primi incontri, Enzu, Vittorio e finalmente l’amore con Alfredo, ucciso una notte dalle bastonate di qualche omofobo. Vent’anni dopo, poco è cambiato: lì nel cimitero, ormai tranquillo signore, Peppì confessa alla madre di avere un sogno: ibernarsi per svegliarsi un giorno e vivere in un mondo più gentile. Masculu e fìammina non accusa nessuno fuorché, con accorata pacatezza, l’ignoranza e il pregiudizio. Ci parla di una grande solitudine, di un mondo chiuso, di silenzi che non si possono riempire, di un grande punto di domanda sulla vita.