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sabato 23 settembre 2017, ore 20.30

Potenza, Teatro Francesco Stabile

 

testo, regia, interpretazione: Elvira Frosini e Daniele Timpano
consulenza: Igiaba Scego
voce del bambino Unicef: Sandro Lombardi
aiuto regia e drammaturgia: Francesca Blancato
scene e costumi: Alessandra Muschella e Daniela De Blasio
disegno luci: Omar Scala
progetto Grafico: Valentina Pastorino
produzione: Romaeuropa Festival, Teatro della Tosse, Accademia degli Artefatti

 

Caustico e irriverente. Impertinente e ricco di paradossi. Con l’aiuto della scrittrice di origine somala Igiaba Scego, Elvira Frosini e Daniele Timpano in Acqua di colonia affrontano il tema del colonialismo italiano con un occhio al presente mettendo in crisi l’ideologia dominante. Tornando un po’ alla loro vocazione originaria, di provocatori delle coscienze, d’indagatori delle macchie inconfessabili che si annidano nella nostra cultura progressista e democratica. I due protagonisti con calzoncini corti e camicia bianca riportano alla memoria degli eventi rimossi, fatti di luoghi comuni, di canzoni quali Tripoli bel suol d’amore o Faccetta nera.

Di aree indistinte che non conosciamo bene e che genericamente chiamiamo Africa: Libia, Eritrea, Cirenaica, Etiopia, Somalia. Frosini e Timpano con fare ironico e iconoclastico, mettono uno dietro l’altro dati e date di fronte a un pubblico che non comprende di essere colpevolizzato. Mentre in disparte un’altra persona assiste muta alla recita, simbolo di quei popoli mai interpellati nelle loro decisioni importanti. Tutto ciò che sembrava rimosso torna in superficie, presente per rispecchiarsi sui nuovi africani che non stanno più nella propria terra con i nonni italici, ma intorno alle nostre case. Una storia di sopraffazione che si ripete, intatta, minando il senso di tranquillità. La manifesta superiorità intellettuale del bianco è ribadita dall’ascolto dell’Aida di Verdi e dagli echi narrativi di Karen Blixen. E con la geniale invenzione di un Pasolini che si rivolge al sottoproletario Ninetto Davoli attraverso le sue poesie così tristemente profetiche. A fine spettacolo ci accorgiamo che, forse, non siamo stati proprio della brava gente. Così come forse non lo siamo neppure oggi. Con quell’odore di Acqua di colonia che si è appiccicata alla nostra pelle e che non vuole andare via. Lo spettacolo sfata così l’idea ancora piuttosto diffusa e tranquillizzante che il tardivo e rimosso colonialismo italiano s’identifichi con l’impero fascista Più che una ricostruzione sia pure frammentaria dei nostri misfatti è una decostruzione sui generis dei miti e degli idioletti, alti o bassi che siano, della mentalità coloniale.