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Danzatore tunisino, inizia la sua carriera nel Sybel Balletto Coy guidato da Syhem Belkhodja, prima di collaborare con Maguy Marin nel 2010 e unirsi poi agli Angers Cndc nel 2013.

 

Sensibile alla musicalità della voce parlata tanto che il testo ricopre sempre un posto speciale nella sua ricerca del corpo, attraverso la quale emerge il tentativo di controllarlo per sviluppare una qualità di resistenza fra il movimento e la scena. Tu meur(S) de terre è proprio una danza fisica dei ricordi, un duetto sinfonico in cui il dolore della malattia si trasforma in una poesia incantata. Oggi Dridi sta perfezionando il suo lavoro coreografico con un master all’Institut chorégraphique International Ici-Ccn di Montpellier iniziato tre anni fa e invia di conclusione continuando allo stesso tempo a esibirsi tanto sulla scena francese che magrebina e in altri contesti internazionali.

 

arrow nera Tu meur(s) de terre

FOCUS YOUNG ARAB CHOREOGRAPHERS
domenica 10 settembre 2017, ore 20.30
Matera, Museo archeologico nazionale Domenico Ridola

 

coreografia, interpretazione: Hamdi Dridi

 

Specchiarsi nel ricordo del genitore imbianchino. Duetto ideale tra un figlio e lo spettro del padre, realtà e trascendenza. Tu meur(s) de terre è una danza della memoria, struggente e intensa. I gesti disegnano lo spazio, guardano nel profondo e raccontano la presenza paterna, figura così essenziale nella crescita e nell’identità di Hamdi Dridi. Che raccoglie ora le immagini, i ricordi, i gesti ripetuti. Le memorie inseguono un feticcio di materia del lavoro manuale del genitore, tra latte di vernici e cartoni, mentre il danzatore diventa il prolungamento del padre, le sue braccia, la sua fronte irrorata di sudore. Davanti al pubblico, si lascia animare da quel corpo che non c’è più, ne racconta la storia. E’ una danza fisica dei ricordi che ricostruisce la figura del genitore tinteggiatore. Un duetto sinfonico in cui il dolore della malattia si trasforma in una poesia incantata. “Io danzo mio padre, un imbianchino. Danzo i miei ricordi, ricostruendo la sua presenza fisica nel suo luogo di lavoro, ricoperto di cartoni. A te che mi guardi, mio padre racconta la storia della sua vita attraverso le mie braccia. Danzo con calma il dolore trasformando un tumore in una poesia. Tra Dio e un essere umano, un padre e un figlio, il cielo e la terra, il suono e il movimento, lui mi sta guardando, ora. Il nostro duetto mi rende capace di accettare che è andato via e che sicuramente ci incontreremo di nuovo, un altro giorno”.