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Si pensa che la musica interessi solo il senso dell’udito e, durante i concerti, la vista.
C’è invece chi riesce a coinvolgere anche l’olfatto e addirittura il gusto e il tatto.
Si tratta della Vegetable Orchestra, ensemble viennese che suona con strumenti ricavati dagli ortaggi: carote, melanzane, peperoni, zucche, sedano si trasformano in flauti, tamburi, violini.
Ecco che allora le note musicali si accompagnano a quelle aromatiche prodotte dalle verdure, sempre freschissime perché scelte e preparate nelle ore precedenti a ogni concerto.
E, alla fine della performance, musicisti e pubblico gustano insieme le minestre preparate da un cuoco con gli strumenti-ortaggi.
La parte musicale e quella degustativa fanno entrambe parte dello spettacolo, gioia dei sensi anche per i più piccoli.

 

Abbiamo incontrato i membri della Vegetable Orchestra in occasione dei loro spettacoli tenuti nei giorni 27 e 28 ottobre al Teatro Palladium di Roma all’interno del Romaeuropa Festival.
Ernst Reitermaier e Nikolaus Gansterer hanno risposto alle nostre domande su quello che rimane uno dei progetti musicali più interessanti ma anche divertenti, a giudicare dalla numerosa presenza di bambini ai loro concerti.
Dietro quella che può apparire solo una provocazione o un numero vagamente circense, si nasconde una ricerca sul suono particolarmente raffinata e complessa. Il repertorio musicale del gruppo austriaco spazia dalla marcia di Radetzky a cover di Kraftwerk e Radian, passando per improvvisazioni jazz, house music e sonorità tribali, afro.
Il loro progetto non riguarda solo la sfera musicale ma anche quella visiva e performativa degli spettacoli.

 

Sappiamo che avete bagagli culturali diversi. Come riuscite a conciliare così tante “teste”? E qual è la vostra formazione?
Ernst Reitermaier: io penso che sia essenziale che i membri dell’orchestra provengano da differenti percorsi di formazione… belle arti, diversi stili musicali, poesia, moda, architettura… così ognuno può contribuire con la sua disciplina. La Vegetable Orchestra (VO) non riguarda solo la musica…
Nikolaus Gansterer: la VO è un progetto artistico che può essere descritto come un vero organismo vivente. Noi abbiamo scelto di chiamarci “orchestra”, perché significa essere tutti membri della stessa struttura. Siamo organizzati, infatti, in modo del tutto democratico, così non abbiamo un direttore o un leader, ma ognuno di noi è specializzato in un campo diverso perché proveniamo da discipline eterogenee. Questo aspetto ci conduce ad un interessante fusione di apporti poiché ognuno di noi vede il progetto in maniera diversa. Per esempio al nostro interno ci sono designers, musicisti elettronici, performers e artisti visivi. Perciò alcuni di noi si focalizzano di più sugli aspetti musicali mentre altri si occupano più dell’aspetto visivo e performativo dello spettacolo. Queste peculiari sensibilità possono portare a collisioni tra le nostre diverse culture, e quindi dobbiamo discuterne o far funzionare le nostre “frizioni” ad un livello artistico che può essere davvero eccitante… non so se è chiaro cosa intendo. Ma dove avvengono scontri di culture, accade anche di superare i confini e sviluppare nuove possibilità. Credo anche che questo modo di vivere e di lavorare con una struttura di potere orizzontale (e non gerarchico) è un punto cruciale del nostro esercizio artistico, e penso che anche il pubblico lo avverta durante il concerto.

 

Avete parlato di espandere i tradizionali confini del “sentire”. Cosa intendete?
NG: penso che per noi sia importante poter entrare con la VO in tutti i diversi tipi di sfere o “arene”. Noi siamo capaci di lavorare con il nostro progetto artistico in un contesto politico, economico ma anche ecologico.
Noi chiamiamo questo processo “Transacoustic Research” (Ricerca Transacustica).
Dove il suono non è semplicemente e soltanto legato al suo spettro acustico.
Generalmente questo significa che siamo interessati a trovare nuove connessioni tra il suono e le sue aree tangenti come filosofia, sociologia, movimento, luce ecc…
La ricerca transacustica è esplorare questo spazio vuoto per trovare legami.

Quali artisti e musicisti seguite e apprezzate?
ER: alcuni musicisti che davvero apprezzo sono john cage, frank zappa, john zorn, erik satie, dieb13, sergej mohntau, franz hautzinger, akio suzuki, mr bungle, helmut lachenmann, fluxus, radian… ce ne sono tanti, e fanno musica molto diversa…
NG: personalmente, seguo la musica sperimentale dai primi inizi fino agli approcci contemporanei, per fare qualche nome: da Luigi Russolo, John Cage, The Residents, Kraftwerk, fino a Senor Coconut e Fennesz… specialmente i progetti dove la linea tra la musica accademica e la pop music tende a scomparire. Ma di sicuro ci sono anche influenze da movimenti artistici come i Situazionisti, i Dadaisti, il movimento Fluxus, ecc… Noi siamo coinvolti nella costruzione di campi aperti dove le idee possano fluttuare e influenzarsi a vicenda.

 

Viviamo in una società che sembra privilegiare i sensi dell’udito e della vista a danno dell’olfatto e del gusto. Il tatto, invece, pare essere delegato e mediato dalle tecnologie. Con le vostre performance voi rendete giustizia a tutti i sensi. Cosa pensate del ruolo dei sensi nel nostro mondo globalizzato?
NG: la VO opera per mettere in connesione questi differenti modi di percezione. Tutti i sensi giocano un ruolo importante nel fare esperienza del mondo. Per me l’intero progetto si occupa di estendere i confini dell’acustico con l’uso di materiali ordinari e, nello specifico, è un’intensa ricerca sulle qualità acustiche e sul carattere transitorio del suono e del cibo. Così puoi considerare l’odore che emerge dall’utilizzo degli strumenti come la quarta dimensione della musica vegetale. Al termine del concerto, con la degustazione degli strumenti, diventa davvero un’esperienza fisica e tattile (tu puoi sentire e gustare la musica nella tua bocca con la lingua) e l’intero concerto viene letteralmente “incorporato” dagli organi recettori.

 

Alcune correnti artistiche credono in un ritorno al “corpo”, altre invece in un suo superamento (per esempio alcuni artisti del cosiddetto Posthuman). Qual è la vostra posizione? Cos’è per voi il corpo?
ER: io penso che il corpo sia importante, altrimenti l’arte può diventare piuttosto noiosa, frivola.
NG: per me il corpo è uno strumento. E’ il principale mezzo attraverso cui posso interagire e comunicare con ciò che mi circonda. E’ la mia interfaccia con il mondo. Nel caso dell’orchestra gli ortaggi amplificati diventano analoghe interfacce – sorta di medium morbido – tra noi e il pubblico. La consistenza molto speciale di questi “corpi sonori” filtra e trasforma le nostre azioni durante il concerto.

 

Parte dell'intervista, in forma leggermente differente, è stata pubblicata sui magazine Drome e Liberalia