domenica 26 novembre 2017, ore 20.30
Potenza, Teatro Francesco Stabile
presentato: Madiel Teatro
idea: Dino Lopardo
drammaturgia: Dino Lopardo, Rosa Masciopinto
attori: Dino Lopardo, Mario Russo
regia: Rosa Masciopinto
musiche: Mario Russo
scenografia: Andrea Cecchini
disegno luci: Paolo Vinattieri
organizzazione: Elena Oliva
comunicazione: Amalia Di Corso
durata: 70 minuti
Poetico e ironico. Duro e amaro. Sullo sfondo la Basilicata, Terra-madre che genera figli, senza avere però i mezzi necessari per farli crescere. Alla ricerca di un futuro negato in casa e succube dell’Eni, padre-padrone senza scrupoli. Trapanaterra di Dino Lopardo è l’odissea lucana. Una riflessione sulle radici e il loro significato per chi parte e per chi resta. Un’ironica e rabbiosa trattazione dello sfruttamento di una regione martoriata dal tempo presente e dimentica del suo passato. Sulla scena il confronto tra due fratelli, quello che è rimasto e l’altro che è tornato, organetto alla mano, al paese dei padri. Uno, il più piccolo rappresentato da Mario Russo in calosce gialle e tuta nera, si districa tra i tubi sonanti e gorgoglianti della raffineria. L’altro, il più grande messo in scena da Lopardo, quello che è scappato, vestito da bohemienne con l’allegria di chi respira di nuovo l’aria di casa, una dimora che forse non c’è più, che è cambiata nel profondo. Uno ingabbiato in una struttura quadrata, spigolosa, che non permette cambi di direzione. L’altro libero di girargli attorno, senza mai invadere il suo spazio. Lopardo e Russo, coadiuvati nella composizione da Rosa Masciopinto, Elena Oliva e Amalia Di Corso, ridisegnano il cambiamento di chi parte e di chi resta. Dove oggi tutto è mutato. Un Paese di musica e musicanti in cui non si canta e non si balla più, nemmeno ai matrimoni. Addormentati dalla puzza dei gas e infiacchiti dal malaffare. Una cesura che lascerà cicatrici non rimarginabili, un dolore inestinguibile anche in coloro che ritornano. Spettacolo persuasivo, arricchito dalla versatilità degli interpreti che suonano dal vivo diversi strumenti e si esibiscono disinvoltamente anche in brevi numeri circensi. Tutto è impastato nel dialetto, radice della storia che s’insinua come la musica. Con un dubbio che aleggia per l’intera rappresentazione. Tra i due fratelli chissà chi avrà avuto più coraggio. L’operaio costretto a rimanere o il bohemienne che rientra, però, in una terra che non può offrire a tutti futuro e speranze.